E’ Anna Lattuca, a fare gli onori di casa a Ragazze Nel Pallone, dove sono di scena la pallamano e la sua versione estiva, il beach handball, entrambe novità dell’edizione 2022 dell’evento.
Se ne parla con tre campionesse di spicco: Barbara Meneghin, Nila Bertolino e Michela Cobianchi.
Il denominatore comune di queste tre atlete, a parte la passione per la pallamano, è la squadra di Cassano Magnago. Barbara Meneghin ne ha fatto parte in passato, prima di terminare la sua carriera ad Oderzo, Nila Bertolino e Michela Cobianchi vi militano tutt’ora.
Cobianchi, terzino destro e centrale, è la più esplicita nel parlare della passione che la muove: “…è un po’ la mia vita…” e le fa eco Anna Lattuca: “…diventa una malattia, vero ?…”.
I misteriosi percorsi dello sport
L’inizio dell’intervista mostra come nello sport i percorsi siano tutto, fuorchè strade tracciate dall’inizio. Meneghin, con trascorsi di rugby, senza particolare entusiasmo diventa portiere di pallamano perchè spinta dalla squadra, onde poi essere “catturata” dal ruolo e non averlo lasciato mai più.
Bertolino inizia come portiere di calcio. A quattordici anni però, la formazione di pallamano dell’Arezzo, priva di un portiere di categoria, un bel giorno la chiama per giocare le finali nazionali.
Cobianchi invece pratica prima il pattinaggio velocità su strada ed inizia alla scuola media a praticare la pallamano, grazie alla sua professoressa di educazione fisica. Inizialmente si allena solo due volte alla settimana e tiene la pallamano come un secondo sport, praticandolo senza obiettivi particolari.
Pallamano, passione e lavoro
Ma ora le cose sono differenti: per lei come per le altre due atlete, successivamente la pallamano è divenuta come un lavoro.
Sì, un impegno serio non retribuito e conciliato, di necessità, con un lavoro vero e proprio.
Anna Lattuca porta il discorso sul professionismo, prendendo spunto da ciò che è appena accaduto nel mondo del calcio. Michela Cobianchi è esplicita e dice che vede difficile in Italia il passaggio al professionismo nella pallamano.
Ha ragione, tutte le partecipanti al dibattito riconoscono che il contesto italiano non è strutturato per il professionismo, pur a fronte di un impegno di tipo professionistico e che deve per forza essere conciliato con un lavoro o con lo studio.
Beach handball
Ma si parla non solo della pallamano tradizionale, ma anche dell’altra novità di Ragazze Nel Pallone, il beach handball. Versione estiva della pallamano, si dice, ma in realtà le differenze con la “sorella” sono marcate. Le discrepanze vanno dal numero delle giocatrici alla modalità di effettuare i cambi, dal terreno di gioco al punteggio, con la segnatura che diventa doppia in caso di tiro con piroetta o al volo.
Nato per essere spettacolare, addirittura in origine il beach handball era nato senza regole ed era l’arbitro ad attribuire ad esempio il doppio punteggio, secondo il suo giudizio; solo più tardi si è palesata l’esigenza di regolamentare lo svolgersi delle partite.
L’entusiasmo delle atlete è visibile, mentre dalle regole del beach handball si passa a parlare della Nazionale, dove gioca Nila.
Anche qui però il contesto italiano sconta un ritardo rispetto alla Spagna o ai paesi nordici, dove ci sono delle rappresentative nazionali separate per la pallamano tradizionale e per quella “beach”.
In Italia le giocatrici sono praticamente le stesse e devono anche essere brave a passare da un regolamento all’altro, dato che modi di giocare a pallamano perfettamente regolari, nel beach handball sono considerati fallosi.
Insomma, se le giocatrici italiane non sono considerate professioniste dal punto di vista normativo, assolutamente da professioniste è il livello di impegno e di “quadra mentale” necessari per ottenere performance adeguate in contesti così di alto livello: una situazione che sa di paradosso.
La difficile scelta di giocare a pallamano
Nila Bertolino riassume molto bene la situazione, un ritornello che del resto abbiamo sentito e risentito anche a proposito degli altri sport: non si vive di pallamano in Italia. Lei che gioca da sette anni (ne ha ventuno), ha visto moltissime atlete abbandonare dopo le giovanili, magari dopo aver vinto lo scudetto under-18.
Si trovano a dover fare una scelta e molte, pur volendo assolutamente continuare, rinunciano per una strada più sicura. Ciò ovviamente diminuisce di molto il numero delle praticanti e quindi ci sono meno talenti e meno giovani che iniziano a giocare, perchè non ci sono prospettive. Così il movimento non può avere la forza che dovrebbe.
Anna Lattuca, che giocava qualche anno fa, ha avuto la fortuna di vedere un movimento forte e strutturato, di un livello differente rispetto a quello attuale.
Sono mancate, per stessa ammissione di Anna, la volontà e la capacità di creare una continuità, di mantenere alto il livello di un movimento che nel recente passato poteva proporre alle atlete un diverso senso di appartenenza.
Ed è proprio questo che le faceva sentire parte di un progetto entusiasmante, che forse compensava il fatto che la pallamano non potesse essere una professione retribuita.
Quando l’Italia era “al top”
Ora non è più così e lo ribadisce Nila, che si rammarica di non aver vissuto quel periodo del movimento, neppure poi tanto lontano. Senza investimenti non solo lo sport femminile non può evolvere, ma non ha neppure la possibilità di mantenere quei livelli di eccellenza che ha mostrato in passato, ad esempio proprio nella pallamano.
Quei risultati sono stati certo frutto della passione di chi l’ha praticata, ma anche della capacità di creare ed attrarre atlete di alto livello che possano proporre uno spettacolo che soddisfi gli appassionati.
Anna Lattuca riassume tutto in un’unica informazione: in Italia ha giocato, in passato, quella che è considerata la più grande atleta della pallamano mondiale, Svetlana Kitić.
Barbara Meneghin parla di una gestione in qualche modo troppo “familiare” delle associazioni dilettantistiche. Servirebbe al più presto, nell’attesa di un professionismo che non sembra per domani, una gestione che sia comunque il più possibile professionale.
Assist, l’associazione partner di Ragazze Nel Pallone cui Anna Lattuca appartiene e che si occupa da sempre dei diritti delle atlete, ha creato quest’anno un percorso di studi denominato LEA.
Lo scopo di questa academy, è preparare le giovani a divenire dirigenti sportive e si vale a questo scopo dell’apporto di sportive di grande rilievo.
Così si prepara un cambiamento che non sia solo di facciata. Anna chiude con un’esortazione: “…vi prego, non vi fermate quando deciderete di smettere di giocare, ma continuate ad occuparvi di pallamano…”.
Frase quanto mai giusta, perchè a pensarci, è fuori dal campo che per lo sport femminile italiano si sta giocando la partita più difficile……
Marco Tamanti Pallone Al Femminile