Denise Civitella, autrice del primo podcast di calcio femminile in Italia, “Stelle In Campo”, intervista Maura Fabbri, calciatrice che partecipò, tra l’altro vincendolo, al mitico primo campionato di serie A femminile con l’A.C.F Genova, nel 1968.
Da giocatrice a giocatrice
Denise Civitella è un’ex giocatrice di calcio e per questo finale della rubrica “Calciatrici di ieri”, ospite di Ragazze Nel Pallone, sfodera un “colpo di tacco”, quella finezza che in campo fai solo se hai intorno una squadra che ti sa capire “al volo” e se come atleta ti senti ragionevolmente sicura di te, delle tue capacità. Va indietro, in profondità, a quel primo campionato che ha dato origine a tutto.
L’atmosfera non è la solita, impossibile rendere a parole. Si va all’indietro, certo e di molto. Ma si va anche in alto, si va a cogliere lo spirito che ti spinge a fare cose “non in linea”, che ti fa rompere gli schemi. Si va a parlare con una donna che decide di mettere ai piedi gli scarpini negli anni in cui sta iniziando uno dei momenti di trasformazione sociale più importanti di sempre.
Un piccolo grande libro
C’è un libro “smilzo”, lungo solo settantanove pagine, edito da Galata in cui l’autore, Fabrizio Càlzia, ripercorre le origini del movimento calcistico femminile italiano. Il titolo è “Le ragazze del ’68” e nella preziosa parte iconografica c’è una foto che ritrae Maura Fabbri con la compagna di squadra Maria Grazia Gerwien. La didascalia dice: “Due amiche al bar”.
Perchè è stata così quell’esperienza: rapporti di amicizia che si sono creati, sono stati vissuti e mantenuti mentre si calcavano i campi ed anche dopo che gli scarpini erano stati dismessi. Un’esperienza vissuta con semplicità, così come semplice era il rapporto con la palla, da bambine.
“…era un modo di passare il tempo, all’aperto…l’unico sport che si poteva fare era il calcio…” …”…questo è stato l’inizio…poi ci sono stati degli episodi che mi hanno convinto che questa poteva essere una vera passione…”
Maura Fabbri e il calcio: passione per la vita
E’ un amico del padre di Maura la persona che mette in contatto la ragazza con la squadra di Vignole Borbera, che avrebbe visto il suo debutto. Quando va all’incontro con l’allenatore e le future compagne, c’è un folto pubblico di curiosi ed appassionati di calcio.
Poi nasce l’A.C.F. Genova, soprattutto per l’impegno di un allenatore, Ugo Mignone e della moglie Alba Campominosi. Fu fondamentale l’impegno di queste ed altre persone, non solo per far crescere la squadra, ma anche per far nascere la federazione, che vedrà la luce poco tempo dopo, nel corso del 1968.
Un calcio “operaio”, fatto di trasferte in treno e panini e bibite a pranzo, ma forse proprio per questo dotato di un fascino speciale, quello di un tempo che non c’è più. Ed a questo punto, c’è un primo elemento che in qualche modo sorprende. Maura Fabbri parla di duemilacinquecento-tremila supporters che seguivano la sua squadra, un dato che la stessa Denise Civitella non manca di definire “incredibile”.
Qualcosa non quadra: ci si sarebbe aspettata un’accoglienza “freddina” per i primi calci ufficiali delle donne, in un’epoca in cui il senso comune ancora doveva fare passi importanti a proposito del ruolo delle stesse nella società. Invece pare che così non sia stato. Per contro, al giorno d’oggi fidelizzare il pubblico sul calcio femminile è un’impresa davvero ardua, a dispetto di tanti discorsi di parità. A dispetto soprattutto del fatto che le informazioni, via internet, viaggiano migliaia di volte più veloci di allora.
Forse qualcosa è andato perduto
Denise va diretta su un punto “dolente”, le contestazioni nei confronti delle donne che all’epoca giocavano a calcio. Maura Fabbri risponde con una tranquillità che fa pensare che le stesse non fossero poi così frequenti e decise. Del resto fa capire che era proprio il tifo, i cui componenti erano divenuti ormai un gruppo di amici, a proteggere le giocatrici da eventuali “obiezioni” di chi il calcio delle donne non lo capiva. Anche qui, nasce un piacevole stupore.
Insomma, ascoltando la testimonianza di Maura Fabbri, si ha la sensazione che qualcosa e più di qualcosa negli anni sia andato perduto, fra una chat sullo smartphone ed un film guardato su una piattaforma web. Forse si sono persi dei significati, un modo di stare insieme nella vita più che di giocare in campo, l’importanza di confrontarsi faccia a faccia davanti ad un caffè, più che di arrivare al primo posto in campionato.
Ma forse quello che “coglie più in contropiede” chi ascolta l’intervista è la frase della stessa Fabbri, quando dice: “…sul calcio femminile c’era meno malizia una volta, forse perchè era una novità…”, questa affermazione più che altro fa temere che non siano stati fatti poi così grandi progressi nel modo cui si guarda allo sport femminile, da quel lontano 1968.
Quei simboli fondamentali
Maura Fabbri e le sue compagne hanno vissuto fino in fondo la propria passione, conquistando tra l’altro un Campionato Europeo, nel 1969, impresa di cui il mondo dei media sportivi, purtroppo, poco o nulla si ricorda e ci racconta. Maura toglie definitivamente gli scarpini a ventisette anni: la morte prematura del padre la obbliga a dover lavorare. Le donne non vivevano di calcio allora: è da vedere se potranno farlo da ora in poi, in Italia.
A pagina tredici del libro di Càlzia c’è una foto scarna e bellissima, che risale proprio al ventitrè febbraio di quel 1968 così importante: la portiera della forte formazione della Cecoslovacchia ormai inutilmente a terra, mentre il pallone giace già in fondo alla rete. E’ il gol del pareggio della Nazionale italiana, che poi vincerà quella partita, con reti di Tanini e Maria Grazia Gerwien. E’ un simbolo della forza di quelle ragazze, in campo ed ancor di più al di fuori di esso.
Loro stesse sono dei simboli, dei riferimenti fondamentali, per il presente che stiamo vivendo e per il futuro che altri vivranno. Quei simboli che il tempo non potrà mai cancellare.
Marco Tamanti Pallone al Femminile