Alice Pignagnoli, mamma numero uno del Cesena femminile

Intervista ad Alice Pignagnoli: giocatrice di calcio della squadra femminile del Cesena, neomamma della piccola Eva e compagna di Luca.

Non siamo abituati ad inserire queste due parole nella stessa frase: mamma e calciatrice. Eppure, accanto ad Alice le possiamo mettere.

Si, perchè Alice è il numero uno della sua squadra di calcio, anche se poi in partita indossa  il numero 11 e, allo stesso tempo, ricopre il ruolo di mamma della piccola Eva, arrivata nel momento in cui il Cesena ha acquistato le sue prestazioni sportive e Alice ha avuto quindi l’occasione di riscattare la brutta esperienza appena vissuta con il Genoa.

Un esempio importante di quanto sia essenziale, doveroso e normale dover tutelare le proprie atlete, che praticano sport a livello agonistisco e che decidono un giorno di diventare madri. La passione per il calcio è innata e lo zio Aldo l’ha aiutata ad approfondirla.

Alice nasce a Reggio Emilia il 14/03/1988. La madre era una nuotatrice e il padre giocava a pallavolo. Dunque, una famiglia di sportivi, ma per nulla amanti del calcio.

Per i primi anni pratica due sport contemporaneamente: la pallavolo e il calcio. L’impegno di praticare due sport, nel tempo, era diventato troppo impegnativo e dunque arrivò il momento di dover scegliere fra una delle due discipline.

Iniziò a giocare nella squadra della scuola con i compagni maschi e nell’atletico Santa Croce, la squadra del paese, finché non raggiunse l’età consentita per giocare in una squadra mista, passando così, alla Reggiana Femminile.

Le squadre in cui successivamente ha giocato sono tante, citandone alcune: Milan, Como, Napoli, Torres, Valpolicella , Imolese, Mantova e Genova, per poi trovare la sua “casa” a Cesena dove tuttora gioca.

Alice si definisce una persona dolce e solare. La cucina è la sua seconda passione, non per luogo comune, ma per divertimento e voglia di sperimentare. Ha anche aperto un blog di cucina infantile. (La piccola Eva apprezzerà di sicuro).

Il suo più grande pregio dentro al campo è il saper gestire i diversi momenti della partita con la giusta calma, reputandosi un giocatrice esperta. Il suo difetto è quello di essere una perfezionista. Fatica a dare il meglio di sé quando non si fanno le cose come vuole.

Uno dei successi che ricorda con maggior entusiasmo è quello con la Torres, dove vinse lo scudetto e la supercoppa, partecipando anche alla champions league femminile. Dice, però, che i momenti più belli siano quelli che ha passato assieme alle sue compagne,  nelle città in cui ha vissuto (15 in totale), contornate dalle emozioni che ha provato.

Cosa significa per te il calcio?
Il calcio è tutto: a questo magnifico sport ho dedicato la mia vita. Ho girato l’Italia, fatto scelte difficili, conosciuto e lasciato persone e luoghi. In parte, è grazie al calcio se sono la persona che sono oggi.

Come mai hai scelto il ruolo del portiere?
Non è stata una vera scelta. E’ successo che il primo portiere della mia squadra si era rotta il crociato ed io, avendo giocato 8 anni a pallavolo nel ruolo del libero, ero la persona più adatta a sostituirla, e da quel momento me ne innamorai.

Nel momento in cui hai scoperto di essere incinta, qual è stato il primo pensiero riguardo al calcio?
Ho pensato che la mia carriera sarebbe finita ed avrei buttato al vento anni di sacrifici. È successo subito dopo il fallimento del Genoa femminile, i cui presidenti dopo varie promesse, mi hanno lasciata con 3000 euro di viaggi non rimborsati ed oltre 6 stipendi mancati (su cui poi è intervenuta la federazione). La paura che la società del Cesena Femminile mi lasciasse a piedi era molta.

Fortunatamente ciò non è accaduto. Sapevo di essere arrivata in una realtà sana, seria e con dei principi, dove avrei potuto continuare a lavorare al meglio. Hanno accolto con gioia la notizia, dicendo che sarebbe stato solo un momento che mi sarei presa per dare alla luce una bimba meravigliosa, e che poi sarei tornata da loro.

Due parole riguardo il caso di Lara Lugli ed il professionismo nel calcio femminile?
Il discorso è molto semplice: nel momento in cui lasciamo alla sensibilità e al potere dei singoli prendere decisioni in merito a qualcosa che in tutti gli altri settori è normato, avremo purtroppo un caso come il mio e 100 come quello di Lara.

Lo sport femminile deve diventare professionistico come quello maschile, in quanto ci mettiamo lo stesso impegno/facciamo gli stessi sforzi (a volte molto di più) e abbiamo le stesse incombenze. Gli stipendi poi sono un’altra questione che andrebbe discussa a lungo, sarebbe giusto che venissero regolati dalle leggi del mercato. Proprio in questi giorni Alex Morgan e altre atlete internazionali hanno aperto un’agenzia di comunicazione per sole atlete, in quanto il gap di genere tocca anche quel settore: le donne vengono pagate infinitamente meno degli atleti maschi, proprio per questo dovrebbero esserci delle normative base, che tutelino le sportive come qualsiasi altra lavoratrice.

Ti piacerebbe che tua figlia giocasse a calcio?
Mi piacerebbe si, ma prima di tutto vorrei che credesse in sé stessa e facesse quello più desidera, ciò la faccia sentire meglio realizzata.

Cosa deve cambiare secondo te nel calcio femminile?
In primis sicuramente la legislazione. Questo  porterebbe un aumento dell’appetibilità del movimento, sia dal punto di vista di sponsor che dei praticanti e, di conseguenza, anche un aumento degli scritti che a cascata farebbe crescere il livello di tutto il calcio femminile. Dai campionati minori a quelli di vertice, fino alla nazionale.

 Qual è la giocatrice più forte che hai incontrato?
Patrizia Panico, campionessa senza tempo, con la quale ho anche avuto la fortuna di giocarci.

Che cosa avresti fatto se non avessi iniziato a giocare a calcio?
Penso che avrei giocato sicuramente a pallavolo. Come ho detto all’inizio, per un periodo ho praticato entrambi, fino al momento in cui l’impegno di entrambe le discipline era diventato insostenibile. In ogni caso ferma non sarei riuscita a stare.

La tua famiglia ti ha sempre sostenuta riguardo la scelta di praticare questo sport?
In realtà all’inizio no. Con ma mamma nuotatrice e il papà pallavolista, all’epoca, il gioco del calcio era visto come uno sport da maschi. Credo, però, che il fatto di aver intrapreso questa strada senza il loro supporto mi abbia dato una forza in più per raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata.

C’è un atleta a cui ti sei sempre ispirata?
Si, ce ne sono diversi. Quelli con cui sono cresciuta sono Alex Del Piero, Buffon e Hope Solo.

Ti reputi una persona scaramantica?
Dalla nascita di Eva non più. Ho capito che sono tutte cose marginali, quello che conta veramente è la tua volontà di raggiungere gli obiettivi. Diciamo che di fronte a lei, tutto il resto va in secondo piano. Mi piace dire che un gradino sotto le stelle è comunque qualcosa di importante.

La tua paura più grande?
Perdere le persone che amo.

Il sogno nel cassetto?
Poter fare della mia più grande passione un lavoro. Riconosciuto effettivamente

di Alessandra Spagnolo