Eva Artoni e Vanessa Barzasi intervistano Barbara Bondi, allenatrice ed icona dell’Ultimate femminile italiano.
In questa intervista a Barbara Bondi si parla di Ultimate Frisbee, uno sport che in Italia vanta un numero di tesserati ancora piuttosto limitato, e che ha un DNA decisamente diverso rispetto alla maggior parte degli sport che conosciamo: ad esempio, non contempla un contatto fisico volontario fra coloro che partecipano al gioco e soprattutto non prevede in campo la presenza di un arbitro.
Nell’Ultimate sono i giocatori stessi a discutere delle situazioni dubbie che si presentano durante un incontro, per arrivare ad una soluzione condivisa e proseguire nel gioco, applicando nel modo più autentico possibile il concetto di “fair play”.
E’ inoltre concepito fin dalle sue origini, come “mixed”, formato cioè da squadre in cui sono presenti sia donne che uomini, anche se di norma si svolgono competizioni solo maschili e solo femminili.
Barbara Bondi super-coach
Barbara Bondi è definita non a caso una super-coach: gioca dal 1997, quando conosce il frisbee al CUS ed è lei stessa a dire: “non mi ricordo più com’era quando non giocavo a frisbee…”. Si forma sportivamente a Bologna e prosegue in Romagna, a Rimini, la sua carriera.
Una carriera lunga, la sua, e ricca di soddisfazioni, tanto da aver sviluppato un legame molto forte con l’Ultimate. La sua frase: “non riesco a smettere mai di giocare” non è legata però solo al giocare in sé, bensì al fatto di stare allenando le giovani under-15 ed under-17 e di seguire man mano i loro progressi, vedendo anche l’entusiasmo che le accompagna.
Del resto non dev’essere così facile abbandonare lo sport per cui hai vissuto, quando la squadra bolognese delle Shout ti contatta per farle da coach ai prossimi mondiali per club in Ohio, il prossimo luglio. Misurarsi con il più alto livello mondiale di Ultimate alla guida di una compagine italiana: difficile dire di no.
Ed ancor più difficile, forse, sarebbe dire di no alla proposta di portare la Nazionale italiana under 17 a disputare i prossimi Campionati Europei. Insomma, si comprende bene perchè Babara Bondi venga definita “super-coach”.
I messaggi imperdibili dell’Ultimate
La “marcia in più” di quest’intervista, però, sta proprio nel fatto che attorno a Barbara Bondi ruotano tematiche che sono anch’esse importanti, e che vanno ben al di là dell’intervista stessa.
Facciamo un passo indietro. All’inizio dell’intervista, ad Eva Artoni è stato chiesto di spiegare cosa sia il “MUD” : il termine indica il fango,“il fango sul viso di chi non vuole sottrarsi a nessuna sfida”. Il progetto, che si ispira al suo omologo statunitense denominato “GUM”, ha lo scopo di promuovere l’Ultimate aumentando il livello tecnico di chi lo pratica mediante iniziative di formazione sul campo, facendo crescere al contempo stesso il numero delle giocatrici, che ad oggi è ancora insufficiente.
Ma non solo: il MUD (nel cui team sono presenti anche Vanessa Barzasi e la stessa Eva Artoni) è stato creato anche e soprattutto come occasione per affrontare temi importanti come la “gender equity”.
E’ cruciale, per il futuro delle giocatrici dell’Ultimate, che vi sia un maggior equilibrio nei numeri di chi si dedica a questo sport. Le donne, infatti, attualmente sono solo un terzo dei tesserati totali. Ma questo è solo un aspetto della questione.
Non a caso infatti Eva parla di “consapevolezza dell’importanza di ricoprire anche ruoli di leadership da parte delle giocatrici…non solo in campo: allenando, piuttosto che partecipando alla vita della federazione o essendo nei direttivi delle proprie squadre…essere in prima persona partecipi non solamente della vita del campo ma anche di tutto quello che sta attorno…”.
Il MUD e la partecipazione delle donne alle decisioni
Il concetto è semplice, ma nella sua semplicità riassume tutto ciò che è stato finora uno dei problemi maggiori dello sviluppo dello sport al femminile. Meno visibilità delle donne rispetto agli uomini, mentre giocano in campo ma anche e soprattutto nei momenti che contano al di fuori del campo, quando occorre prendere le decisioni-chiave.
Donne escluse dalla leadership per questioni culturali, donne meno visibili sul campo e fuori dal campo. Donne meno visibili sul campo, donne escluse dalla leadership. Un refrain che sa di corto circuito, ed il MUD appare come una iniziativa intelligente per cercare di spezzare questa catena.
Una delle parole chiave del discorso di Eva Artoni, riferito alle donne, è certamente “consapevolezza”: una consapevolezza dei propri mezzi che porta necessariamente a presupporre una parità di ruoli e di opportunità. Del resto c’è una frase che si fa particolarmente notare, nella home page del MUD: “MUD, dove chi è sporco di fango è un’eroina”; l’accostamento fra un aggettivo accordato al maschile ed un sostantivo femminile dice più che qualcosa.
Un commento e non solo…
La stessa Barbara Bondi va a riassumere tutti questi ragionamenti in un commento: “…in Italia ci sono troppo poche donne che allenano…”
La super-coach però, in tal senso, va ben al di là delle considerazioni verbali: nel progetto della Federazione Italiana Flying Disc del cui Gender Equity Team fanno parte anche Barbara Bondi ed Eva Artoni, c’è un “toolkit”, versione italiana del documento della World Flying Disc Federation; un documento scaricabile molto ben fatto, che parla di una parità di genere da realizzare in concreto.
Una questione che va ben al di là degli sport del Flying Disc. Una questione che riguarda tutti gli sport e tutte le donne del mondo.
Marco Tamanti Pallone al Femminile